Cosa pensi della massoneria?

Visualizzazioni totali

venerdì 28 novembre 2008

Chi abbraccia la massoneria?

Il notaio Paolo Valvo, già maestro venerabile della loggia Primavera di Treviso, spiega cosa spinge una persona ad abbracciare la massoneria. "Vedo molte persone - dice Valvo - che, superati i 30-40 anni d’età e trovata una definitiva sistemazione lavorativa, cercano nelle logge massoniche un luogo dove poter intraprendere, in tutta libertà, una ricerca interiore, un cammino esoterico, così da trovare delle risposte alla propria esistenza. In sostanza, la loggia è un
luogo di confronto e di discussione; un laboratorio in piena attività dove uomini di diverse opinioni politiche e religiose si confrontano per una crescita spirituale reciproca che è in continuo divenire. Questo anche affrontando i più disparati temi, dall’esoterismo al sociale (tranne la politica e la religione), con un’analisi assolutamente “laica” (termine che per noi significa, essenzialmente, libera da qualsiasi pregiudizio) della realtà. Al di là dei soliti luoghi comuni che si possono ancora avere sulla Massoneria, non si aderisce ad una loggia del Grande Oriente d’Italia per trovare un sostegno politico-elettorale o per essere favoriti nella carriera professionale. Personalmente cercare o fare favoritismi, danneggiando gli altri, va contro i miei princìpi morali – sia di uomo che di massone –, e devo dire che in Massoneria ho incontrato tantissime persone che la pensano come me".

lunedì 24 novembre 2008

Intervento dell'avv. Giovanni Formicola

In merito al volume "Quale primavera per i figli della vedova" propongo ai lettori un testo dell'avv. Formicola.

Carlo Silvano è uno studioso e un ricercatore attento e scrupoloso. Di lui ricordo, in modo particolare, una ricerca sulla piaga dell’usura (1) – fronte che lo ha visto anche attivo nella collaborazione con associazioni che assistono legalmente le vittime di tale turpe commercio di danaro e di false speranze per disperati –, e una sui rapporti tra cristiani e musulmani muovendo da un’esperienza specifica (2). Ma Carlo Silvano è anche un cattolico «impegnato» – come si dice oggi, con brutto termine, cui personalmente preferirei «militante» –, che ho avuto il piacere (non ricorro allo spagnolesco «onore», ma è implicito) di conoscere proprio quale promotore di incontri, convegni, seminari e iniziative di vario segno per animare e formare culturalmente un’area cattolica, quella della provincia di Napoli, un po’ apatica e sonnolenta, almeno in quegli anni, ormai non più troppo recenti. Per questo la sua ricerca sulla Massoneria trevigiana, attraverso le interviste a tre suoi esponenti di spicco, potrebbe sembrare troppo value-free, «priva di giudizio di valore»(3), e quindi corriva nei confronti dell’oggetto della sua indagine, come lui stesso sostanzialmente confessa di temere nella sua «conclusione». In realtà, si tratta di un atto di coraggio. Infatti, se è vero che la sequenza ordinata della condotta umana è ben sintetizzata nella classica formula «conoscere, capire, giudicare, agire», che costituisce un autentico paradigma prescrittivo, è pur vero che sempre più spesso vengono trascurati i primi due passi – o vengono compiuti con superficiale fretta –, e perciò giudicare viene surrogato dal pre-giudizio che rende cieco e inefficace l’eventuale intervento. Insomma, troppo frequente è il caso in cui la sentenza è resa senza aver letto – meglio, studiato – le carte. Ecco allora che, con una buona dose di coraggio intellettuale e morale, l’autore non teme di «sporcarsi le mani» – absit iniuria verbis – inoltrandosi in partibus infidelium, con una indagine (solo apparentemente) valuefree sulla Massoneria. Egli fa parlare direttamente gli interessati, mettendo a disposizione materiale di prima mano per conoscere la «cosa», premessa indispensabile per provare a capirla, e così poterla «giudicare» (le virgolette sono d’obbligo, trattandosi non di rendere una sentenza, ma di formarsi un’opinione su di essa), per poi prendere eventualmente posizione nei suoi confronti – e questa è una modalità d’agire tutt’altro che minore – con la massima cognizione di causa possibile.


Nella foto Carlo Silvano con Elisa Barisan, autrice del volume "La custode e il guardiano" (Asolo, 29 novembre 2008)


Dicevo solo apparentemente value-free, perché l’opinione di Silvano risulta prima in filigrana sin dalle domande che pone, e poi con grande chiarezza nella «conclusione». Ma soprattutto il livello dell’informazione raccolta («conoscere») è tale che non è difficile farsi un’idea («capire») che consenta poi di giudicare e agire alla stregua dei propri parametri di valutazione. Emerge chiaramente, cioè, la natura essenziale della Massoneria in tutte le sue articolazioni, la dominante che – al di là di un generico filantropismo nutrito da buoni sentimenti, di solito politicamente corretti – consente di unificarne le manifestazioni plurali in un tratto identitario fondamentale: il relativismo. Esso, secondo studi autorevoli e attendibili (4), discende da un’impostazione francamente naturalista, in quanto rimuove – vuoi nella forma positiva dell’asserzione perentoria, vuoi in quella negativa del giudizio d’impraticabilità – il soprannaturale dal discorso pubblico e dall’orizzonte del pensiero e dell’agire umano. In loggia, come hanno dichiarato gli intervistati, non si parla di religione e di politica (e allora di che cosa si parla, vien fatto di chiedersi, visto che non c’è tema di qualche rilevanza che non interessi e coinvolga la naturale religiosità umana e le religioni positive, nonché la città, la società organizzata degli uomini, dunque la polis e la sua natura, le sue vicende e i suoi problemi, ossia la «politica»).


Foto con Razia Joseph, da anni impegnata nella difesa dei diritti delle donne pakistane

In realtà, questo divieto, se pure praticato e praticabile, è conseguenza dell’idea – e la esprime compiutamente – secondo la quale tutte le religioni sarebbero uguali, in quanto nient’altro che frammento e rappresentazione simbolica di un’unica verità ed etica universali (5), che lungi dall’essere definite consistono nella ricerca da parte della ragione umana di una mediazione tra tutte le verità e le etiche storicamente credute e teorizzate, miticamente riferite alla Divinità. Così, si riduce il discorso al piano meramente razionalistico e naturalistico, e quindi inevitabilmente relativista, nel senso religioso, filosofico ed etico. Tanto appare evidente nelle risposte che concernono le questioni antropologiche per eccellenza – e perciò radicali –, che per i cattolici sono da affrontare tenendo fermi alcuni princìpi «non negoziabili»(6), che però non sono di verità rivelata, ma di verità naturale, conoscibili e comprensibili cioè da tutti – e perciò validi erga omnes – con il semplice lume della retta ragione, sebbene spesso questa post peccatum necessiti di essere purificata e sostenuta dalla fede (7). Si tratta delle questioni concernenti la nascita, la morte, la relazione tra i sessi, il matrimonio, la generazione e l’educazione della prole, la famiglia, il significato della persona e il valore della vita umana. Ebbene, in tema di aborto, di matrimonio e di adozione da parte di coppie omosessuali, le risposte sono sempre caratterizzate da quel «possibilismo» che confina al livello della coscienza e della pratica private la scelta, che perciò dev’essere permessa dalla legge positiva. Quest’atteggiamento può apparire persuasivo e suadente, tollerante e liberale, siccome neutrale. In realtà, è esso stesso un’opzione a favore di un ben preciso modello di libertà, che ha la propria scaturigine in una certa concezione dell’uomo, e che è in concorrenza con quello fondato sui princìpi del diritto naturale e dell’antropologia propria della nostra tradizione cristiana. Tale modello è certo seducente, perché sembra rispettare le convinzioni e le scelte di tutti. Se parliamo di aborto, per esempio – ma il discorso vale anche per le altre questioni –, oltre l’ipotesi pure tutt’altro che teorica, basti pensare alla Cina comunista, della coazione ad esso in casi specifici, si dice che la sua legalizzazione è rispettosa sia della scelta di chi voglia abortire, quanto di quella di chi non intenda farlo. Ora, al di là del fatto che essa non è però rispettosa del diritto alla vita dell’uomo concepito ma ancora non nato, sarebbe un po’ come dire che la libertà d’iniziativa economica, o quella di pensiero e di parola, ovvero quella religiosa, meritano di essere riconosciute e tutelate perché chi non vuole avvalersene può farlo…

Le libertà, invece, vanno giudicate nel merito, per il loro contenuto, non perché ottative. Il terzo massone intervistato, anche per la sua competenza scientifica, riconosce l’individualità umana del concepito. Cionondimeno non è disposto a trarne l’unica conseguenza logica: che è perciò, e solo perciò, titolare di una soggettività che lo mette al riparo da ogni atto lesivo intenzionale, a prescindere dai caratteri accidentali che ne connotino la condizione concreta. Il che comporta che non solo la morale individuale, ma neanche la legge civile – che non può avere altro scopo e fondamento che la tutela dell’uomo innocente senza eccezione alcuna – possono riconoscere alcuna libertà di sopprimerlo mediante l’aborto. E questo non per ragioni di fede, o confessionali, ma per ragioni di ragione, e quindi universali. E del resto, se la libertà di abortire fosse – come le altre prima evocate – giusta nel merito, sarebbe da considerare un diritto, ed allora davvero non si comprenderebbe il riconoscimento di un altro diritto, quello all’obiezione di coscienza, a chi non intenda cooperare ad esso: le due posizioni a stretto rigore non sono compossibili.

Dunque, le interviste sembrano confermare che il proprio della visione massonica è il «relativismo assoluto». Tale definizione sarebbe un ossimoro, come quello delle «convergenze parallele», se non ci muovessimo nell’ordine delle pure e astratte creazioni della mente umana, cioè delle ideologie, che riducono tutte le leggi, quella naturale come quelle della logica, a mera convenzione, ignorandone il profondo radicamento nell’essere. E l’ossimoro logico riflette la sostanza di questo atteggiamento, sicché, se si vivesse davvero integralmente secondo il canone relativista, neppure soltanto in due potrebbero avere termini comuni su cui convenire per il più elementare dei dialoghi (8). Ne segue che tale visione ormai viene proposta come risultato – come prassi selettiva, perché, come appena detto, integralmente è invivibile –, piuttosto che come premessa dogmatica, nel qual caso manifesterebbe immediatamente la propria contraddittorietà. Ed è per questo che la Massoneria contemporanea, come risulta anche dalle parole degli intervistati che sarebbe ingiusto sospettare di insincerità, non manifesta ostilità diretta nei confronti della Chiesa cattolica, non «complotta» più contro di essa, secondo la formula del canone 2335 del Codice di Diritto canonico del 1917 e del canone 1374 di quello del 1983, al massimo si lamenta per la permanenza di residui della passata egemonia, come la presenza del Crocifisso nei luoghi pubblici. Eppure, come ricorda Silvano nella sua conclusione, rimane la sentenza d’incompatibilità tra l’appartenenza alla Chiesa e alla Massoneria: l’ingresso in loggia per un cattolico rimane peccato e peccato grave e, aggiungo io, sanzionato con la scomunica. Perché? In effetti, la Massoneria odierna – certamente realtà diversa ad quella che era nei secoli scorsi, come diversi sono i secoli – non avrebbe più ragione di «complottare», come è certo che in passato abbia fatto, contro una Chiesa che non deve apparirle più un avversario così temibile lungo la strada della promozione di naturalismo e relativismo. Anche perché fin troppo spesso – al di là dell’esito d’ogni possibile inchiesta circa la loro iscrizione alla Massoneria – vescovi, sacerdoti e fedeli, semplici o dotti che siano, sembrano massoni ad honorem, tanto relativista e naturalista è il loro orizzonte dottrinale e operativo. Basti pensare alla questione sociale - che troppi leggono in termini economico-sindacali, e non nella sua globalità che comprende anche il destino soprannaturale dell’uomo -, così come a quella dell’inizio e del termine della vita, che viene affrontata con un certo grigiore che la dà vinta alla relatività delle opinioni sul punto (9). Ma è proprio nella prospettiva naturalistica e relativistica che la definisce, per la sua intrinseca diffusività e capacità di contagio, la ragione della condanna della Massoneria. Che è soprattutto una messa in guardia dal suo specifico, che, oltre le formali appartenenze, dà luogo al «“massonismo” come mentalità ispirata dalle dottrine e dalla pratica massoniche, introdotta in un contesto che ufficialmente e autoritativamente la rifiuta»(10). È questo il vero nemico da cui guardarsi oggi: se è da considerare esagerato ed esempio di falsa modestia dichiarare, come fa qualche massone, ridotta «a zero» l’influenza politica, economica, amministrativa e giudiziaria della Massoneria, va però detto che tale influenza è comunque molto più operante sul piano della mentalità. Lo conferma con una felice sintesi un documento ufficioso della Santa Sede:

«Anche quando non vi fosse un’obbligazione esplicita di professare il relativismo come dottrina, tuttavia la forza relativizzante di una tale fraternità, per la sua stessa logica intrinseca ha in sé la capacità di trasformare la struttura dell’atto di fede in modo così radicale da non essere accettabile da parte di un cristiano, “al quale cara è la sua fede” (Leone XIII).
Questo stravolgimento nella struttura fondamentale dell’atto di fede si compie, inoltre, per lo più, in modo morbido e senza essere avvertito: la salda adesione alla verità di Dio, rivelata nella Chiesa, diviene semplice appartenenza a un’istituzione, considerata come una forma espressiva particolare accanto ad altre forme espressive, più o meno altrettanto possibili e valide, dell’orientarsi dell’uomo all’eterno.
La tentazione di andare in questa direzione è oggi tanto più forte, in quanto essa corrisponde pienamente a certe convinzioni prevalenti nella mentalità contemporanea. L’opinione che la verità non possa essere conosciuta è caratteristica tipica della nostra epoca e, nello stesso tempo, elementoessenziale della sua crisi generale»
(11).

Il lavoro di Carlo Silvano, dunque, è prezioso per chi voglia capire, per poter ben giudicare e decidere il meglio da fare. E lo è anche perché illustra l’umanità dei suoi interlocutori, che fortunatamente è molto meno massonica di quanto – mi permetto di osservare – essi pensino o vogliano. Infatti, non posso esimermi dal rilevare che c’è più buon senso in molte delle loro considerazioni che in di quelle di tanti cattolici «adulti».

Portici, novembre 2008

______________

(1) Cfr. Carlo Silvano, “La genesi della povertà. La piaga dell’usura”, con una presentazione di Tommaso Tarantino O.P., stampa Ogm 1994.

(2) Cfr. idem, “Cristiani e musulmani: costruire il dialogo partendo dai fatti di «Borgo Venezia» di
Treviso”, Edizioni del noce 2003.

(3) Cfr. Massimo Introvigne, “Il dramma dell’Europa senza Cristo. Il relativismo europeo nello scontro di civiltà”, ed. Sugarco 2006, p. 5.

(4) Cfr. tra i tanti, pregevole per sintesi e dottrina oltre che per rigore scientifico, Florido Giantulli S.J. (1906-1974), “L’essenza della Massoneria italiana: il naturalismo”, ed. Pucci Cipriani 1973.

(5) Una sorta di pretesa di surrogare l’universalismo cattolico e imperiale, ormai tramontati, come ebbe a dire Giordano Gamberini, Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia dal 1961 al 1970, affermando che la Massoneria «si è organizzata per rispondere a quelle esigenze di universalità che il mondo occidentale si era visto mortificare con lo spegnimento dell’idea imperiale e col frantumamento della religione cristiana», «ossia, per offrire un’etica universale in luogo di quella perdutasi poiché era stata fondata su una fede universale di cui era venuta a mancare l’unità» [Claudio Schwarzenberg - Beatrice Bisogni, “La Massoneria oggi (intervista a Giordano Gamberini)”, ed. Celebes 1977, p. 30, cit. in Giovanni Cantoni, “La Massoneria nei documenti del Magistero della Chiesa cattolica”, in Cesnur (Centro Studi sulle Nuove Religioni), “Massoneria e religioni”, a cura di Massimo Introvigne, Elle Di Ci, Leumann 1994, pp. 133-161, p. 134].

(6) Cfr. per questa qualifica, tra i tanti documenti del Magistero pontificio, Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti al convegno promosso dal Partito Popolare Europeo del 30 marzo 2006,
facilmente reperibile in
http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2006/march/
documents/hf_ben-xvi_spe_20060330_euparliamentarians_it.html.

(7) Cfr. Benedetto XVI, Lettera enciclica “Deus caritas est” del 25-12-2005, in particolare n. 28.

(8) Come sostiene uno dei seri motivi d’orgoglio della stirpe napoletana, il filosofo della Provvidenza Giovan Battista Vico (1668-1744), il rifiuto di Dio – anche solo pratico (vivere e pensare «come se Dio non ci fosse») e non dogmatico – e quindi della verità trascendente e metafisica, come fondamenti della vita e della riflessione umana corrompe... [manca nota]
(9) Lo relego in nota, per consentire al lettore eventualmente ormai annoiato di saltarne la lettura, ma non posso tacere quanto sia insopportabile un certo linguaggio clericale, modulato sul
politicamente corretto e sugli stilemi luogocomunisti, pacifisti, buonisti e pauperisti de “La Repubblica” o dei talk show di sinistra. Non si tratta più neppure della vulgata progressista, che avrebbe persino una sua dignità, per quanto discutibile, ma di una sciatteria di pensiero e di parola che sembra soprattutto intenta a evitare grane e impopolarità, e affetta da un certo complesso d’inferiorità nei confronti del mondo. È un’accidiosa – e scandalosa – disobbedienza al Papa, che con grande chiarezza ha indicato non solo le priorità, ma i temi che sono davvero dirimenti per un cattolico: il diritto alla vita (e prima che agli immigrati o alle vittime delle guerre, che sono «involontarie», è chiaro che egli pensa all’aborto, alla selezione e manipolazione eugenetica degli embrioni concepiti in vitro e all’eutanasia), la famiglia fondata sul matrimonio indissolubile tra un maschio e una femmina, e il diritto ad educare i propri figli. E mi fermo qui per carità di Chiesa.

(10) Cfr. Giovanni Cantoni, op. cit., p. 160.

(11) “Inconciliabilità fra fede cristiana e massoneria. Riflessioni a un anno dalla Dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede”, in “L’Osservatore Romano”, 23-2-1985, trascritto in “Cristianità”, organo ufficiale di Alleanza Cattolica, anno XIII, n. 119-120, marzoaprile 1985, pp. 11-12 (p. 12).

martedì 18 novembre 2008

ecco la copertina del libro che uscirà a giorni...



giovedì 6 novembre 2008

Per i massoni è possibile una moschea a Treviso?

All'attuale maestro venerabile della loggia "Primavera" (GOI - Treviso) ho chiesto cosa pensa riguardo all’eventuale presenza di una moschea a Treviso. Ecco la risposta:
In generale ritengo che la costruzione di una moschea in Italia debba scaturire da un accordo bilaterale tra lo Stato italiano e uno Stato islamico – o una grossa Istituzione riconosciuta, come preciserò meglio in seguito –, in quanto spesso i luoghi di culto islamici vanno al di là della semplice preghiera. Il problema delle moschee in Italia è abbastanza complesso e di conseguenza lo è anche a Treviso. Le richieste di costruire nuove moschee, oltre a quelle esistenti, sono aumentate enormemente negli ultimi tempi e ciò è dovuto alla grande immigrazione di musulmani. All’unica associazione esistente in Italia agli inizi del Novecento – Fratelli musulmani –, si sono aggiunte a dismisura sigle di vari movimenti islamici nel secolo scorso e se ne aggiungono tuttora. Oggi ne contiamo almeno una trentina. Faccio alcuni esempi. L’Umi a Torino, l’Ici di viale Jenner, il Coreis a Milano, l’Acii, la Lmm, la Uio, l’Ami, l’Umi di Smith, l’Aic, i Movimenti turchi e l’Islam sciita a Roma. La più grande organizzazione in termini numerici è l’Ucoi, cui aderiscono 122 associazioni territoriali e nazionali, nonché molte moschee italiane e circa trecento luoghi di preghiera. Accanto a queste organizzazioni, esistono in Italia moltissimi altri “centri culturali” con annessi “luoghi di preghiera”. In provincia di Treviso ne esistono quattro, di cui uno a Treviso città. Come ben si può vedere, l’Islam ormai è nel nostro tessuto connettivo.
La copertina di un libro dedicato al rapporto tra cristiani e musulmani presenti a Treviso
Le ho detto in precedenza che uno dei princìpi basilari della Massoneria è la libertà. Sarebbe inconcepibile per un massone non riconoscere ad un essere umano, e quindi anche ad un musulmano, la libertà di culto e di preghiera. Il problema si complica perché la maggior parte degli Stati musulmani si basano sulla sharia, legge di origine divina, che si rifà al corano e alla sunna. A questa legge divina, piuttosto che a princìpi laici, si ispirano la politica, l’organizzazione sociale e la giustizia, che vengono considerate parti integranti della religione. In Occidente al contrario la costituzione degli Stati è fondata su princìpi laici, che però ammettono massima libertà di culto. In Italia il diritto non è più quello canonico, mentre quello islamico è quasi tutto un diritto religioso. Anche l’organizzazione della Chiesa cattolica – o di altre religioni – è diversa da quella islamica. Come quasi tutte le religioni occidentali, essa ha una organizzazione piramidale, al contrario dell’Islam, dove, ad eccezione degli sciiti, gli imam non hanno alcun riferimento verticistico, più liberi quindi nell’interpretazione delle norme e nel comportamento. Altra differenza è quella del sostentamento. Il clero italiano adesso si basa molto su atti liberali dei contribuenti; gli imam invece, in quasi tutti gli Stati arabi, vengono stipendiati dai governi, forse con l’intento di controllarli.
Alcune pagine del libro dedicate alla figura del profeta Maometto, fondatore dell'Islam
Tornando quindi alla sua specifica domanda della presenza di una moschea a Treviso, luogo di incontro e di preghiera per un numero di fedeli molto più grande, rispetto ad un centro culturale con annesso luogo di preghiera, le confermo la mia convinzione che ancora i tempi non sono maturi. Oltretutto credo che ogni moschea in Italia debba fare riferimento ad uno Stato islamico ben individuato con cui esistono normali rapporti diplomatici – in questa direzione si muove l’Arabia Saudita – o ad una organizzazione italiana fortemente radicata fra i musulmani e con gerarchia verticistica. Lo Stato e gli enti locali hanno bisogno di dialogare con Istituzioni che rappresentano veramente un grande numero di musulmani. Fa pensare, infine, il fatto che la moschea di Roma sia stata costruita, con i soldi dell’Arabia Saudita e del Marocco, da un ente fondato dagli ambasciatori arabi accreditati sia presso lo Stato italiano che presso quello del Vaticano. Gli amministratori di questo unico ente riconosciuto dal Governo italiano adesso sono in litigio tra loro, e l’ente è stato commissariato. Come detto prima, anche a Treviso esistono diversi gruppi di musulmani, organizzati ognuno per conto proprio, e viene quindi spontaneo interrogarsi su chi dovrebbe gestire una moschea.

[Questo passo dell'intervista al maestro venerabile della loggia "Primavera" è tratto dal volume "Quale Primavera per i figli della Vedova? Treviso vista e vissuta dai massoni di una loggia del Grande Oriente d'Italia", Ogm editore, dicembre 2008, pp. 69-71].