Cosa pensi della massoneria?

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martedì 1 dicembre 2009

recensione

Sul giornale telematico Veneto globale è stata pubblicata una recensione al mio libro "Quale primavera per i figli della vedova? Treviso vista e vissuta dai massoni di una loggia del Grande Oriente d'Italia".

http://www.regione.veneto.it/VenetoGlobale/NewsView.aspx?idNews=623

sabato 22 agosto 2009

Una reclusione che rispetti la dignità del detenuto

Altra riflessione - che pubblico solo in parte - sul tema del carcere. A scriverla è un massone che - nel biennio 2005 e 2006 - è stato Maestro venerabile della loggia "Primavera" di Treviso. La versione integrale di questa riflessione sarà proposta nel libro-intervista a don Pietro Zardo.

La mia conoscenza del sistema carcerario italiano è quella di un comune cittadino che trae informazioni sull’argomento dagli organi di stampa e dalla televisione. Da quanto è a mia conoscenza, la situazione di inadeguatezza del sistema e delle strutture carcerarie non è dissimile da carcere a carcere. Fatta eccezione per le strutture che ospitano detenuti particolari, quali i mafiosi, sottoposti alle restrizioni previste dall’art. 41 bis dell’Ordinamento carcerario, mi risulta che tutte le case circondariali del Paese siano caratterizzate da sovraffollamento di detenuti, con tutte le implicazioni e le problematiche che queste situazioni inevitabilmente generano. Al sovraffollamento si aggiunge, inoltre, una totale mancanza di opportunità di riabilitazione per i detenuti, in assenza della quale rimane soltanto la rassegnazione e la disperazione.
Non dobbiamo dimenticare che le disposizioni di legge vigenti in materia, non contemplano il carcere alla stregua di un luogo all’interno del quale il detenuto venga sottoposto ad una sorta di vendetta da parte dello Stato; bensì una struttura ed un “sistema” all’interno del quale chi ha commesso un reato debba certamente scontare la pena inflittagli dal giudice di merito, ma nel contempo abbia la concreta possibilità di ravvedersi e di riabilitarsi. Purtroppo questa situazione di inadeguatezza, cui ho fatto cenno, perdura da tanti, troppi anni e non trova soluzione soprattutto perché “la politica” non ha la volontà né di trovare nuove soluzioni, né di rendere effettivamente applicabili le norme esistenti. Talvolta appare in televisione il parlamentare di questo o di quello schieramento politico, il quale in buona fede, ma io ritengo invece con una buona dose di ipocrisia, si indigna per la situazione delle carceri in Italia.
La cruda realtà è che, da un punto di vista politico, il problema delle carceri non interessa nessun partito, anzi, il volerlo affrontare, diventa controproducente sul piano elettorale, perché va contro “ il comune sentire” della stragrande maggioranza dei cittadini.[continua]

C.M.
loggia “Primavera” di Treviso
affiliata al Grande Oriente d'Italia

sabato 11 luglio 2009

Dopo l’intervista al massone della loggia “Primavera” di Treviso (Siamo tutti alla ricerca di Dio), pubblico un’intervista a don Artemio Favaro, parroco nella chiesa di Quinto di Treviso. Confrontando i due testi (le domande sono le stesse), il lettore può poi fare le sue riflessioni e trarre le sue conclusioni.

Secondo lei, e in base alla sua esperienza di credente maturata in questi ultimi anni, qual è il disegno che Dio ha per ogni singolo uomo?
Sicuramente un disegno d’amore. “In questo sta l’amore –dice l’apostolo San Giovanni- non siamo stati noi a scegliere Dio ma Lui ha scelto noi”. E’ sua la prima mossa: sempre. L’iniziativa è sua: unica, totale, sorprendente. Si tratta di una logica che sfugge ai parametri di ogni buon senso: siamo dinanzi ad un progetto che si muove e si manifesta nella più assoluta gratuità e che, proprio perché tale, frequentemente ed elegantemente cerchiamo di ignorare o, peggio, di rimuovere… E ci lasciamo così andare a rincorse di presunta libertà e indipendenza o precipitiamo nell’abisso della violenza più cruda e inspiegabile o ci mettiamo a scalare le spalle dei fratelli per arrivare primi. Tutto questo perché ci sembra assurdo un Dio che viene a cercare semplicemente una relazione d’amore per realizzare con l’uomo una grande esperienza di comunione, di serenità e di pace. Gesù ha definito questa grande esperienza con la parola “Regno di Dio”: quel sogno unico ed esclusivo di fare con l’uomo di tutti i tempi un’unica grande famiglia, un’unica fraternità.

Nella sua vita - di uomo e di sacerdote - si è mai verificato un episodio tale da indurla a dubitare dell'esistenza di Dio? Può dirci qualcosa?
Ho sempre avuto una relazione molto inquieta con Dio, una relazione guadagnata con i denti. Vi sono stati dei momenti in cui mi sono sentito braccato e tirato per i capelli, altri in cui mi sono sentito un cercatore angosciato e ansioso di poter trovare qualcosa: raramente ho sperimentato serenità profonde… Passate le crisi dell’adolescenza e giunto alla scoperta che “credere è fidarsi di una relazione ed entrare in essa a viso aperto” non ho mai dubitato dell'esistenza di Dio, neanche nei momenti bui, perché c'è sempre un motivo che ti trascina dentro al tunnel del buio e del non-senso… anche se questo lo capisci dopo. Quando sei dentro, ti senti gettato in un deserto sconfinato in cui non sai dove attaccarti per venirne fuori. Nella mia vita di cercatore testardo e appassionato ci sono stati frequentissimi momenti in cui mi sono sentito così, in cui ho sperimentato l’amarezza dell’abbandono e la durezza della ricerca e da essi sono sempre uscito più robusto e convinto. Alla lunga sono riuscito a capire il senso di quelle fatiche attraversate. Mi dicono a volte che nel mio modo di parlare di Dio, della fede in Lui, del Vangelo, sono crudo, scarno, a tratti pessimista... Ma questo riflette la mia esperienza di Dio, carica di tante vicende di serenità, ma anche di drammaticità. Ho sperimentato che la relazione di Dio deve costare: non è una relazione “gratis”. Così come avviene tra un uomo e donna: se non si cerca di attraversare insieme anche i momenti difficili, la relazione non cresce, rimane stanca, neutra, insipida…; con Dio è la stessa cosa. Quando cerchi di capire il senso della fatica e il perché dei “momenti-no” senza sottrarti ad essi, allora la relazione con Lui diventa saporita, piacevole… “L’anima deve considerare l’aridità e il buio - ¬scrive Edith Stein - come segni che Dio le sta a fianco, strappandole di mano l’iniziativa”.

Ma nell'uomo c'è - secondo lei - il desiderio di conoscere e avvicinarsi a Dio? Quali
personali riflessioni, al riguardo, si sente di proporre?

Sono convinto che in tutti c'è questa sete di relazione con Dio: tante volte si tratta di una sete non ben identificata, che va alla deriva, che macina e scava dentro alle persone fino a spingerle a vivere esperienze devastanti, logoranti, talora distruttive. Se uno però accetta di coltivare questa sete, di conoscerla e decifrarla può approdare, piano piano, all’incontro con Dio. L'uomo non è fatto per vivere faccia a faccia con se stesso: finirebbe per snaturare la sua identità. Abbiamo bisogno dell’altro perché è lo specchio che ci rivela a noi stessi: la relazione con l’altro/a, se vissuta con verità, ci rafforza, ci riempie, ci arricchisce e, poco alla volta, può essere un forte veicolo che ci aiuta ad approdare alla relazione con il “totalmente Altro”, con Dio stesso. Il problema, molte volte, è di riuscire a leggere in profondità questo bisogno radicato nell’animo umano. In tutti questi anni ho incontrato persone che hanno condotto un’esistenza disperata e svuotata di ogni senso perché si sono portate addosso questo grande “vuoto interiore” causato dal rifiuto di accogliere e dare risposta a questo profondo e unico bisogno di relazione. Altre volte mi sono trovato a curare ferite laceranti provocate da risposte sbagliate o da scelte non sufficientemente maturate. E’ davvero triste e umiliante giungere a quel punto dell’esistenza in cui ti accorgi di aver sbagliato tutto o quasi….

In base alla sua esperienza di parroco che ogni giorno deve confrontarsi con persone di ogni fascia sociale, si può arrivare a conoscere Dio con la sola luce della ragione?
Ho conosciuto molte persone che hanno cercato di avvicinarsi a Dio con la sola ragione: non lo credo possibile. Io sono un razionalista, e sono convinto che in un percorso di fede non si può prescindere dalla ragione: ed è la ragione stessa che ti guida fino a quel punto in cui capisci che devi metterti in gioco con il cuore. Il passaggio che fa scattare la relazione con Dio è un passaggio di vitalità, che supera, pur includendola, la razionalità. La razionalità è necessaria perchè aiuta a far sì che la relazione sia autentica, ma la fede, l’affidarsi a Dio e a Gesù Cristo scatta quando ti lasci rubare il cuore da Lui. Viceversa, senza questo passaggio, la fede rimane un'adesione culturale, un'esperienza religiosa vissuta come atto dovuto, un dare-avere. Credo che uno dei nodi più grossi da sciogliere oggi sia proprio questo, perché rischiamo di avere una marea di religiosità e una minima esperienza di fede…

Tenendo presente la sua esperienza di parroco, in che termini si può parlare dell'esistenza di Dio con chi non crede?
Ho diversi amici non credenti ma che sono stati e continuano ad essere cercatori critici ed appassionati. Con loro non è difficile parlare di Dio perché c’è un qualcosa di unico e forte che ci lega: c’è amicizia, sincerità, stima profonda, soprattutto quella solidarietà che scaturisce dalla consapevolezza di non possedere l’interezza della verità e di essere perciò entrambi portatori di un bagaglio precario e limitato. E’ questo retroterra umano caratterizzato da profonda sim-patia che facilita un confronto più intenso e l’approdo a scoperte arricchenti. Ciò che preoccupa molto di più oggi è l’ignoranza e l’arroganza con cui molti pseudo-credenti o presunti tali parlano di Dio o si propongono come paladini della religione con l’unico scopo di perseguire interessi di parte.

Ci sono persone che di fronte a un lutto subito, ad esempio di un bambino, dicono di non credere più a Dio... a queste persone lei cosa si sentirebbe di dire?
Niente. Dinanzi alla tragedia del soffrire e del morire ogni parola può essere superflua e retorica. Il dramma e la morte non amano la retorica né le parole vuote, inutili. Il dolore e la morte chiedono soprattutto silenzio e dignità. Ecco perché condividerei silenziosamente il dramma che stanno vivendo. Nella mia esperienza di sacerdote, non sono mai riuscito a mettermi di fronte alla tragedia ricorrendo a frasi e parole stucchevoli e dal sapore vagamente consolatorio… Nel momento del dramma l'unica cosa che mi riesce di fare è di stare accanto in silenzio. Non riesco a verbalizzare niente perché sento che, pur dicendo cose vere, in quel momento chi sta vivendo il buio della disperazione non si aspetta parole, ma solo che io sappia condividere fino in fondo il suo dolore.

Ma Dio - secondo lei - perché ha creato l'uomo?
Perché Dio è relazione. Dio è fecondità, vita, amore...E l’amore, quando è tale, sente il bisogno di dare, di espandersi, di aprirsi. Perché, ad esempio, due sposi fanno un figlio? Non sono forse autosufficienti? Certo, ma la coppia sente il bisogno di generare un altro da sé perché in questo trova una pienezza, la completezza del suo essere coppia, un'espansione che la spinge oltre, verso il futuro. Lo stesso libro della Genesi aiuta la nostra risposta: Dio creò la terra –dice il testo- la natura, ogni genere di animali e di piante ma solo quando creò l'uomo trovò la sua pienezza perché lo creò maschio femmina, a sua immagine e somiglianza, perché fosse lo “specchio” davanti a lui. “E Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine sua lo creò: maschio e femmina li creò” (Gen. 1, 27).

In quali modi, secondo lei, Dio si rivela a quanti credono in Lui?
Se dovessi raccontare le occasioni e i modi con cui Dio ha bussato alla porta della mia vita non potrei dimenticare i “volti”: quella marea di volti strani, segnati dalle cicatrici del dolore, della fatica e dell’abbandono che hanno segnato buona parte della mia esistenza. Sono quegli “ospiti”inattesi ed imprevisti che giungono a te attraverso le strade più impensate, le situazioni fortuite che scavalcano i tuoi piani, li rovesciano e ti obbligano a cambiare rotta: soprattutto arrivano ad incidere a tal punto il tuo cuore che non puoi fingere di non vedere né esimerti dal dire loro un “sì” o un “no”. Tutti questi “volti” sono stati una “Parola di Dio” per me: sempre. Non solo. Dio bussa continuamente anche attraverso la forza unica e dirompente della sua Parola: quella Parola che ha sempre “stregato” un’infinità di persone affascinandole e trasformandole in testimoni unici e credibili del suo amore. La nota dominante ancora che caratterizza lo stile di Dio nel suo cercare continuamente l’uomo sta in quelle modalità del vivere, riconducibili alla normalità. Sarebbe importante arrivare a capire la straordinarietà delle cose ordinarie. Attraverso la quotidianità possono avvenire cose straordinarie. Come dice Pascal: “Per misurare la virtù di un uomo, non bisogna guardarlo nelle grandi occasioni, ma nella vita quotidiana”.

Cosa significa, secondo lei, credere in Dio?
Credere in Dio significa non sentirsi condannati a vivere. Sentire che c'è questo soffio quotidiano sulla tua spalla, sentire che c'è una relazione che ti impegna ma che è anche liberante. Credere è navigare nel mare della vita ed entrare senza paura in esso solcando la forza delle onde e affrontando l'urlo della tempesta con la consapevolezza che non affondi perché il suo sguardo ti rassicura. Credere è saper “entrare nella casa dell'altro”, nel suo vissuto, nella sua storia per ascoltare e condividere e non per giudicare ed escludere. Credere è scoprire la forza della propria precarietà, scoprire che nella bisaccia abbiamo solo “cinque pani e due pesci” pronti, ad ogni istante, a condividerli con tutti. Credere è scegliere di entrare in quel “vortice” accattivante che profuma di carità, di accoglienza, di stupore verso la ricchezza dell'altro, e nutrirsi di quella speranza che ti fa credere che anche la persona più sbagliata è figlio suo e mio fratello. Credere ancora è consapevolezza estrema della propria povertà, è convinzione di essere umili cercatori di una verità che è ben più grande di noi e non ci appartiene e che giungeremmo ad incontrare nella misura in cui sapremo scoprire, apprezzare e condividere la “piccola porzione di verità” che ciascuno reca con sé.

Quali sono, in base alla sua esperienza personale, le caratteristiche della fede in Dio?
Se guardo alle prime comunità cristiane vedo che sono quattro le grandi caratteristiche dei credenti nel Risorto: l'ascolto profondo e convinto della Parola di Dio, l'Eucarestia come stile di vita vissuta, la Preghiera come “spazio di gratuità” e la Fraternità vera, reale. E sono decisamente convinto che continuano ad essere tali anche oggi. È fondamentale la centralità della Parola di Dio perché solo da essa trae forza una vita che sceglie di “farsi dono”, Eucaristia e in essa si radica il coraggio di vivere come fratelli. Un credente o una comunità che non si radicano sulla Parola di Dio rischiano di essere auto-referenziali e di divenire “funzionari” della religione ma non testimoni, benefattori ma incapaci di condivisione. Le fatiche che oggi stiamo vivendo come credenti e come Chiesa sono senz'altro dovute ai tempi difficili e contorti che stiamo attraversando, ma in parte dipendono anche dal fatto che il “Dio che parla” non è spesso al centro della sua comunità che è la Chiesa. Occorre tornare all'assoluto di Dio, allo “ Shemà Yisra’èl” (Ascolta, Israele!) del grande libro del Deuteronomio (6,4) e al legame intenso e convinto con la storia perché, dice G. Pouget, “quando si sopprime il legame tra la fede e la storia non c’ più ponte tra il cielo e la terra”.

Secondo lei, la fede dev'essere solo un atto personale oppure deve anche esprimersi come atto comunitario?
Questo e quello. Se prima non è un atto personale, fa fatica a diventare un'esperienza comunitaria. Si fatica a vivere la dimensione comunitaria della fede proprio perché è scarsa a livello personale. Siamo figli di una famiglia, che è la Trinità, non siamo figli di una monade assoluta, di un architetto. L'architetto non mi domanda una relazione, ma solo di aderire ai suoi piani architettonici, non mi domanda di mettermi in gioco nella mia coscienza. Il grande lavoro fatto dai profeti e dalle guide del popolo nell'Antico Testamento, è stato di aiutare il popolo ebreo a capire la propria identità di popolo, salvato insieme dall'Egitto e che insieme perciò doveva andare verso la Terra Promessa.

Oggi, secondo lei, sono importanti le formule della fede?
Ciò che importa è la testimonianza. Le formule possono essere pedagogicamente utili per certe persone o in certe situazioni, ma l'unica cosa che conta veramente è la testimonianza e la credibilità. «L'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, - scriveva Paolo VI nell’Evangeli Nuntiandi (41) - o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni».

E' possibile, secondo lei, fidarsi sempre di Dio? Può parlarci di una sua personale
esperienza?

Dico sì ma con molto pudore e sottovoce. Perché è un “atto di fiducia”, un “affidarmi” che non è mai stato immediato, spontaneamente naturale. Come dice un salmo, “ha sempre dovuto attraversare una valle arida prima di trasformarla in sorgente”. Dentro la Chiesa ho sempre lavorato con impegno e serietà, consapevole che essa non è un'esperienza perfetta e pura, ma anche carica di limite e di peccato. Non ho mai preteso di cambiarla, ma piuttosto di servirla e di servire soprattutto le persone. Non ho mai vissuto grossi contrasti con la gerarchia perché ho sempre pensato che essa è una parte della Chiesa ma non tutta la Chiesa. Sono cresciuto nello spirito del Concilio Vaticano II e quindi credo che la Chiesa siamo noi, le persone. Persone inserite nella storia e chiamate ad intessere con essa un dialogo profondo. Avendo scelto di fare della mia vita un servizio e un dono, ho cercato di vivere sempre mescolato alle persone, trovandomi spesso a condividere diverse esperienze drammatiche, con il rischio che anche la mia fede e la mia vita di prete andasse in crisi. Ho vissuto e condiviso la morte del figlio piccolo di amici carissimi, la morte di due amici ancora giovani e molto cari. Penso ancora al periodo in cui ho patito un forte disagio con l'aspetto ufficiale della Chiesa perché un'esperienza nuova avviata con altri amici preti fu poco accolta e compresa. D'altronde sono prezzi da pagare: quando cerchi di essere te stesso, quando rifiuti il ruolo del funzionario e dell'impiegato, quando cerchi di lasciarti muovere dall'amore per la storia e per le persone che in essa vivono e soffrono... puoi anche attraversare momenti di incomprensione e di momentanea solitudine...

Lei prega? In quali occasioni?
Certo, e anche con altri preti. Siamo quattro preti che vivono insieme e che ogni mattina iniziano la giornata con un forte momento comune di preghiera. Prego anche con la comunità, attraverso l’Eucarestia quotidiana e gli incontri settimanali di ascolto della Parola di Dio. La preghiera poi è anche e soprattutto uno stile di vita, un sentirmi costantemente in sintonia con Lui. Non mi nego inoltre “spazi personali” di preghiera, estremamente necessari per ritrovare la profondità di me e rimettere a fuoco le assi portanti della mia fedeltà ai Cristo e ai fratelli. [a cura di Carlo Silvano]

martedì 26 maggio 2009

Chi è il Grande Architetto dell'Universo?

L'intervista che segue mi è stata rilasciata da un massone che lavora come medico di base in un grosso comune alle porte della città di Treviso: abbiamo parlato della sua concezione del Grande Architetto dell'Universo e dell'anima.

Nella sua quotidianità chi è il Grande Architetto dell'Universo?
Nella mia quotidianità esiste solo la coscienza di agire dentro i parametri diun'etica che si basa sul non andare contro certi principi di correttezza che definisco universali, poco mi preoccupo del Grande Architetto dell'Universo (G.A.D.U.).

Che cosa comporta credere nel Grande Architetto dell'Universo?
Credere nel G.A.D.U. per me è credere che Lui è parte e tutto dell'Universo; direi che seguo molto fedelmente il concetto di Dio di Baruch Spinosa.

Come si alimenta la fede nel Grande Architetto?
Non ho bisogno di alimentare una fede giacché il solo esistere e partecipareall'Universo, mi dà la consapevolezza dell'esistenza di una Forza Universale che non socome definire, ma nemmeno mi interessa più di tanto.

Certi credenti immaginano Dio come un vecchietto dalla barba bianca, altri lo definiscono puro Spirito. Lei, come massone, dovendo descrivere la figura fisica del Grande Architetto, quali parole userebbe?
Molto semplicemente una forza, un'energia generativa e distruttiva, ciclica e infinita.

Nel libro della Genesi si legge: “In principio Dio creò il cielo e la terra” (Gn 1,1). Per un massone che crede nel Grande Architetto, quale senso possono avere queste parole tratte dalla Bibbia?
Per me la Bibbia ha – e parlo a titolo personale e non a nome dei massoni – un senso simbolico, e potrebbe essere sostituita con altri simboli utili a rappresentare unconcetto trascendentale. A mio avviso le parole della Bibbia sono scritte da unbiblista in un particolare periodo storico e segnato dalla necessità di dare un senso storico al popolo ebreo.

L'universo – secondo lei – è stato creato seguendo un preciso disegno?
Non credo nel disegno intelligente.

Perché – secondo lei – il Grande Architetto ha creato l'uomo?
Seguendo il pensiero del mio concetto di Dio, posso pure pensare che l'uomo sia stato solo un epifenomeno del processo della creazione universale.

I cristiani credono che Dio abbia creato l'uomo a propria immagine e somiglianza. Quali sono le sue considerazioni?
Penso che al rovescio sia Dio che assomiglia troppo all'uomo che lo ha creato per la sua necessità di sentirsi trascendente.

Lei, come massone, crede nell'esistenza dell'anima?
Tutto dipende da quello che pensiamo sull'anima, elemento indipendente creato da Dio, o energia vitale partecipe dello stesso corpo che, dopo la morte, si manifesta come energia che va a fare parte del Tutto. Io credo nella seconda ipotesi perché più razionale, però non ho la verità in mano, so solo che devo aspettare per sapere... spero ancora di dover aspettare per un bel po'.

Con la morte dell'uomo, muore anche l'anima?
Non lo so, ma mi auguro che una traccia del nostro essere permanga nell'universo.

Cosa ci aspetta dopo questa vita?
Me lo domando molto frequentemente, però non so dare una risposta razionale. (a cura di Carlo Silvano)

mercoledì 13 maggio 2009

L'opinione di un massone sui clandestini


Ad un massone trevigiano ho posto tre domande inerenti ad un articolo pubblicato su "La Tribuna" (http://espresso.repubblica.it/dettaglio-local//2080595), e riguardante la presenza dei clandestini in Italia e l'opera di don Canuto Toso. Devo precisare che ho avuto modo di parlare dei clandestini con don Canuto, il quale ha inteso sottolineare il fenomeno in generale nella storia dell'emigrazione, senza approvarlo, specialmente quando sbarcano numerosi a Lampedusa. Insomma, don Canuto ritiene indispensabile e concorda su un certo regolamento dei flussi migratori.
Qual è la sua opinione sulle posizioni assunte da don Canuto Toso nell'articolo pubblicato su La Tribuna del 29 aprile scorso?
Premetto che ammiro don Canuto Toso per quello che ha fatto e fa, ma non sono d'accordo con l'idea che bisogna essere tolleranti con i clandestini per il fatto che, nei tempi passati, anche gli italiani hanno tentato questa strada. La legge è legge, e questo vale per ieri e per oggi; occorre instaurare una situazione tale che si possa definire "Ordo ab Chao", ovvero l'Ordine del caos.
Se è vero che ci sono clandestini attivi nel mondo della delinquenza, è anche vero, però, che sono tanti a scappare dai loro Paesi per sfuggire a guerre, epidemie e fame. Non bisogna, secondo lei, fare allora delle distinzioni e aiutare concretamente chi vive in situazioni di emergenza?
Al di là della solidarietà che lo Stato Italiano pratica con alcuni stanziamenti di somme in Bilancio - poco?, molto? -, ci sono organizzazioni internazionali preposte a questo scopo. In casi particolari di persecuzione politica lo Stato, tramite apposite Commissioni, concede l'asilo politico ai clandestini.
Lei svolge la professione di medico. Se la sentirebbe di denunciare alla polizia un clandestino che dovesse eventualmente rivolgersi a lei per essere curato?
Sono diventato medico con l'obbligo deontologico di curare chiunque, evitando di denunziare, o fare referto, qualora questo dovesse procurare pregiudizio penale al paziente.

mercoledì 22 aprile 2009

pranzo a Ponte della Priula

Oggi ho conosciuto un nuovo massone. Fa parte della Gran Loggia d'Italia e abbiamo pranzato insieme in un ristorante sul fiume Piave. In un'ora e mezza abbiamo toccato molti argomenti, e devo riconoscere di aver incontrato un'altra persona che affronta in maniera pacata ogni argomento relativo alla Libera Muratoria.

martedì 21 aprile 2009

Siamo tutti alla ricerca di Dio

Ho iniziato a raccogliere il materiale per un nuovo libro dedicato alla Massoneria presente a Treviso, e recentemente ho intervistato un massone del Grande Oriente d'Italia, focalizzando l'attenzione su Dio e sul rapporto tra uomo e Dio. Pur non condividendo il contenuto di certe risposte, riporto fedelmente quanto mi è stato riferito, convinto che quanto emerge dall'intervista offre numerosi spunti per la riflessione personale anche ai cattolici. Ecco la bozza dell'intervista.
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Secondo lei, qual è il disegno che Dio ha per ogni singolo uomo?
Devo preliminarmente precisare che, da un punto di vista ontologico, per me Dio è il Grande Architetto dell’Universo e che personalmente non mi riconosco in nessuna religione. Se questa è una visione relativista… ebbene, allora sono un relativista! Devo dire, inoltre, che l’esortazione “conosci te stesso”, iscritta sul tempio dell’Oracolo di Delfi, ben riassume l’insegnamento di Socrate, in quanto la Verità è in noi stessi e non nel mondo delle apparenze. Più tardi anche Sant’Agostino affermerà: “non andare fuori, rientra in te stesso: è nel profondo dell’uomo che risiede la Verità”. Ma, venendo al punto, io penso che Dio non voglia tracciare un disegno, un destino per ogni singolo uomo. Perché, se così fosse, dove andrebbe a finire il libero arbitrio? Se fin dalla nascita il destino di ogni uomo fosse segnato, fin nei minimi dettagli, l’individuo, pervaso da una sorta di passiva rassegnazione, non avrebbe alcun incentivo, alcun stimolo per compiacere Dio, diventando migliore e seguendo i Suoi precetti, secondo una propria libera scelta. A mio avviso, ogni essere umano nasce e la propria esistenza viene segnata e talvolta condizionata da accadimenti che prescindono la propria volontà ma, grazie a Dio - ed è proprio il caso di dirlo -, ad esso, nella generalità dei casi, rimangono numerose ”chances” per determinare il proprio destino.

Ma nell’uomo c’è - secondo lei - il desiderio di conoscere e avvicinarsi a Dio?
Come le piante tendono verso la luce, così l’uomo è proteso alla ricerca di Dio. A mio avviso, questa condizione interiore è insita nella natura umana. Infatti, qualsiasi popolo, a prescindere dal grado di civiltà raggiunto, dal periodo storico preso in considerazione, o dal suo insediamento da un punto di vista geografico, ha sempre manifestato un propria forma di religiosità, magari legata alla propria cultura. E’ emblematico il fatto che gli ebrei pratichino la circoncisione, oppure che i musulmani non si nutrano di carne di maiale; il tutto, a mio avviso, per ragioni di natura culturale, ma anche climatica. La religiosità dell’individuo si estrinseca, tanto nel contesto di una religione monoteista, quanto nel contesto di una religione politeista, così come talune religioni, come quella cristiana, si fondano sulla trascendenza, mentre altre religioni animistiche si fondano sull’immanenza.

Si può - a suo avviso - arrivare a conoscere Dio con la sola luce della ragione?
Com’è noto la fede costituisce l’elemento imprescindibile per avvicinarsi a Dio. Allo stato, nessuno ha mai dimostrato, utilizzando metodi e protocolli scientifici vigenti, l’esistenza o la non esistenza di Dio. Sant’Agostino sosteneva che, dopo la fede, la ragione costituisce un ulteriore mezzo per conoscere Dio.

In che termini si può parlare dell’esistenza di Dio con chi non crede?
Temo che con un ateo sia difficile e, forse, inutile parlare dell’esistenza di Dio.

Ma Dio - secondo lei - perché ha creato l’uomo?
Se facciamo un ragionamento partendo dall’Antico Testamento, allora la risposta è alquanto scontata. Infatti, ogni religione fornisce ai propri adepti delle risposte ben precise nel merito. Se allarghiamo il nostro orizzonte, da un punto di vista speculativo, la ragione della nostra esistenza non trova, allo stato, risposte certe e convincenti. Il mio personale convincimento è che l’uomo è una piccola, infinitesimale parte integrante del creato, al pari di tutto ciò che compone l’universo. Ritengo che l’umanità abbia perso l’antica certezza di avere un ruolo predominante all’interno dell’universo, ne consegue dunque che è ragionevole abbandonare una visione geocentrica dell’uomo, mi si passi il termine inappropriato, per approdare ad una più consona visione eliocentrica.

In quali modi, secondo lei, Dio si rivela a quanti credono in Lui?
Il modo con il quale Dio si rivela è sotto gli occhi di tutti, o, meglio, “di chi sa vedere”. L’universo in cui viviamo è lo specchio dell’infinito, la testimonianza più evidente dell’esistenza di Dio. In questo senso, mi sento vicino alla filosofia di Giordano Bruno, il quale riconosceva Dio in ogni manifestazione della natura.

Cosa significa, secondo lei, credere in Dio?
Posso risponderle in questo modo: il massone non crede, come il religioso ad un Dio trascendente e personale, né come il filosofo ad un’astrazione, ma conosce Dio come Legge che regola l’equilibrio perfetto dell’Universo, prima sostanza intelligente universale che scaturisce da tutte le cose visibili ed invisibili.

Quali sono, in base alla sua esperienza personale, le caratteristiche della fede in Dio?
La fede in Dio non può estrinsecarsi soltanto nella ritualità di ogni domenica, come accade ad esempio nel caso dei cattolici. Se non vi è coerenza da parte dell’individuo nei comportamenti, nel rispetto di quei principi universali che accomunano quasi tutte le religioni, la fede rischia di diventare una vuota esternazione rituale. A tal proposito, devo dire che apprezzo quei preti, scomodi ed ingombranti per la gerarchia ecclesiastica, i quali prediligono prestare la loro attenzione ed il loro aiuto agli emarginati, a quelli che hanno smarrito la retta via, ai poveri ed, in generale, alle persone più deboli. Ritengo che questo atteggiamento li avvicini a Dio, rendendo il loro agire coerente con il Vangelo, molto più di certi prelati che, come si suol dire, “predicano bene e razzolano male”.

Secondo lei, la fede dev’essere solo un atto personale oppure deve anche esprimersi come atto comunitario?
Non vi è contraddizione tra una cosa e l’altra. Ci sono delle circostanze in cui l’uomo preferisce onorare Dio in un rapporto di intimità e quindi di incontro individuale. In altri momenti, quando prevale il desiderio di manifestare la propria fede e la propria appartenenza, l’individuo privilegia momenti comunitari, che trovano espressione nella ritualità della Santa Messa o, più in generale, nella liturgia.

Sono importanti, secondo lei, le formule della fede?
Le formule della fede, costituite dalla liturgia e dai riti, che rappresentano l’aspetto exoterico di ogni religione, rivestono una certa importanza. In ultima analisi, ciò che più conta non è la formula, cioè il mezzo, bensì il fine, l’incontro con Dio.

E’ possibile, secondo lei, fidarsi sempre di Dio?
Il termine fidarsi si attaglia più al rapporto tra esseri umani che tra gli stessi ed il loro Creatore. Se Dio è Legge ed Amore, allora sentimenti come fiducia o sfiducia non hanno ragione di esistere.

Lei prega? In quali occasioni?
Se per preghiera si intende la recitazione di un testo convenzionale indirizzato a Dio, allora la mia risposta è che io non prego. Non passa giorno, però, senza che il mio pensiero vada a Dio, tanto nei momenti tristi, quanto in quelli lieti. (a cura di Carlo Silvano)

lunedì 20 aprile 2009

Prostituzione: un massone e un prete si confrontano

Nel libro "Quale Primavera per i figli della Vedova?" riporto il parere di un massone e di un prete (don Piergiorgio Morlin, parroco a Mazzocco di Mogliano Veneto) sul problema della prostituzione.

La prostituzione - ho chiesto al massone - non è un fenomeno che riguarda solo le immigrate di colore: anche le italiane si vendono. A una tariffa certamente diversa dalle immigrate, ma si vendono. È pensabile un’eventuale legalizzazione delle cosiddette “case di tolleranza”?

Per rispondere alla sua domanda ribadisco che la prostituzione, se praticata quale libera e consapevole scelta, non è un reato. Gli atti osceni in luogo pubblico costituiscono invece un reato. Non sono in grado di prevedere le ripercussioni che potrebbero verificarsi con l’apertura delle case di tolleranza. È noto che in certi quartieri delle grandi città la gente vive sotto assedio e di notte, dopo una certa ora, non può praticamente uscire di casa perché droga e prostituzione la fanno da padrone. Anche a Treviso questo fenomeno, con il passare del tempo, si avvia a diventare una vera e propria emergenza sociale. Se questo disagio sociale potesse venire anche parzialmente risolto, al di là di ogni ipocrisia, ben venga la riapertura delle case chiuse! Lo “status quo” che perdura da lustri, ha dimostrato che la situazione è andata via via peggiorando e dunque un atteggiamento delle istituzioni inerte e privo di iniziative adeguate è comunque colpevole.
_____________
Sul fenomeno della prostituzione è da registrare l’amaro sfogo di don Morlin, che afferma: “È noto che il fenomeno della prostituzione è vecchio come il mondo. I discorsi sono sempre quelli. Non c’è molto da aggiungere. Io mi pongo il problema più da un punto di vista educativo-culturale-etico che della sicurezza sociale che spetta all’autorità governativa. La soluzione amministrativa, però, qualunque essa sia, non ha alcuna efficacia se non parte da alcuni valori di ondo condivisi: dignità, cultura, coscienza etica, ecc... Oggi, in realtà, c’è uno spaventoso lassismo etico non solo sul piano sessuale ma anche sul piano civile della legalità. Lo slogan “tolleranza ero” proclamato dagli attuali governanti contro le prostitute, i clandestini e i poveri cristi si spreca a tutti i livelli del governo del Paese. Perché in Italia non viene proclamata la stessa “tolleranza zero” nei confronti dei potenti che fanno i furbi, che legalizzano il “falso in bilancio”, che fanno leggi apposite per sfuggire alla giustizia, che insultano turpemente magistrati e vversari politici, che sono proprietari del 70% del sistema informativo italiano, che fanno eleggere al Parlamento italiano mafiosi, inquisiti e corrotti?... Comunque, per quanto riguarda il fenomeno della prostituzione, sono nettamente contrario alle cosiddette case di tolleranza”.

lunedì 23 marzo 2009

Il Piave

Anche su questo giornale è possibile leggere un articolo-intervista dedicato al libro "Quale primavera per i figli della vedova?". Ecco l'indirizzo:
http://www.ilpiave.it/modules.php?name=News&file=article&sid=6821&mode=&order=0&thold=0

sabato 7 marzo 2009

Treviso: quale futuro si prospetta per i massoni?


Lo scorso 3 marzo, nei pressi di Porta Santi Quaranta a Treviso, ho avuto un colloquio con un massone che mi ha rilasciato l'intervista che segue.

Mi può dire l'anno della sua entrata in massoneria?
Sono entrato 1988 nella loggia “Paolo Sarpi”, n. 77, del Grande Oriente d’Italia.

Come ha conosciuto la Libera Muratoria?
Per dodici anni ho studiato in una Scuola di Gesuiti, e lì ho avuto i primi accenni, certamente negativi, della Libera Muratoria. Dopo, però, mi sono interessato a temi di antropologia e religione, e ho letto libri riguardanti le scuole iniziatiche antiche della massoneria.

Perché ha deciso di aderire alla massoneria?
Mi sono avvicinato perché invitato da un amico massone, e ho deciso di chiedere la mia Iniziazione nel 1988. Le motivazioni sono inerenti all’interesse di appartenere a un gruppo di ricerca che propone una strada per il miglioramento dell’uomo in ambiente laico, dove sono colonne portanti i concetti di Libertà, Uguaglianza e Fraternità, lontano da dogmi e religioni con delle “verità” assolute.
Secondo lei, a Treviso ci sono ancora molti pregiudizi nei confronti dei massoni?
Credo che a Treviso, come in tutta Italia, c'è molta ignoranza e pregiudizio sul tema massonico.
In base alle sue conoscenze, qual è la loggia massonica più antica presente a Treviso e ancora operante?
La loggia più antica è la “Paolo Sarpi” del Grande Oriente di Italia.

Conosce la data di fondazione di questa loggia?
So che a Treviso la loggia “Paolo Sarpi” era già funzionante nel 1906.

Secondo lei, a Treviso la massoneria può avere un futuro, oppure è destinata a rimanere un'organizzazione riservata a poche persone?
La massoneria come Ordine Iniziatico Tradizionale Esoterico è necessariamente un’Istituzione riservata, destinata a chi possiede delle qualità per entrare nell’Obbedienza. Questo significa, a mio modo di vedere, che più che il numero, noi dobbiamo cercare la persona adatta a essere iniziata, e a volte, anche con tutte le precauzioni nella scelta, si sbaglia. La massoneria non è né un Lions, né un Rotary. Purtroppo, però, ci sono fratelli che, anche onestamente, sbagliano su questi concetti. Il futuro della massoneria non si deve valutare per il numero o l’importanza sociale dei suoi membri, né, molto meno, per avere un potere politico o economico. La massoneria non deve agire fuori da suoi limiti di Ordine Iniziatico, ma sarà l’uomo massone che, agendo secondo valori etici, potrà fare politica o altro, senza però usare l’Istituzione per arrivare a realizzare i propri interessi. Ogni volta che questo principio è dimenticato si tradiscono i nostri giuramenti. Personalmente ho qualche preconcetto - chissà se sbaglio - sulle logge con decine e decine di affiliati, ed ancora di più se una loggia cerca, particolarmente per la sua “lista”, personaggi “importanti in ambito sociale o politico”, più che persone culturalmente aperte, oneste e libere da interessi profani. Su questo argomento invito a vedere il problema della P2.

Oltre alle due logge del GOI, alla loggia "Keystone" e alle cinque officine affiliate al Gran Loggia d'Italia, le risulta che a Treviso e provincia ci siano altre organizzazioni o gruppi di massoni che hanno altri riferimenti?
Non c'è nessuna protezione al “marchio massoneria” e chiunque può formare un club e chiamarlo loggia massonica; di questa realtà credo ci siano diversi gruppi in Italia. Però non si deve dimenticare che sette fratelli regolarmente iniziati, dei quali cinque maestri, possono formare una loggia regolare. Certamente non è per niente frequente questa eventualità, però non è impossibile.
Quali sono, a suo avviso, i principali punti che il Grande Oriente d'Italia ha in comune con la Gran Loggia Regolare d'Italia, e quali, invece, le principali differenze tra queste due Obbedienze?
Il punto in comune è che ambedue sono Obbedienze Regolari, anche se non si riconoscono mutuamente. Significa che i fratelli del GOI e quelli della GLRI sono fratelli massoni separati per motivi inerenti a vecchi conflitti, ma non per la qualità iniziatica.
Le differenze sono tante:
a) il GOI ha una storia secolare ed un numero di affiliati molto superiore; l’origine della GLR d'Italia è stata un trauma per la stabilità del GOI, creandosi uno scisma purtroppo ancora vitale.
b) Senza entrare nei particolari posso dire che ci sono differenze nelle modalità rituali durante i lavori; ciò non crea alcun problema in quanto nella massoneria ci sono diverse varianti della ritualità che non modificano la struttura basilare dei lavori esoterici.
c) Altra differenza è che il GOI non ha il riconoscimento della GLR d'Inghilterra mentre la GLR d'Italia sì. Il problema si pone per quelli che considerano la Gran Loggia Unita d’Inghilterra come una specie di “loggia madre”. Per me non esiste questa condizione: tutte le Obbedienze sono uguali, senza con questo volere sminuire l'importanza storica della Gran Loggia d’Inghilterra.
Forse, un’altra differenza tra loro due, è che il GOI, date le sue dimensioni, è soggetto a vari problemi nella gestione del governo dell'Ordine, come risulta evidente da notizie di pubblica conoscenza, anche se, in base alla mia esperienza, noto che questo è un problema frequente in tante massonerie, come in tante – aggiungo - organizzazioni sia sacre che profane, direi che sono parte del nostro “genoma” latino. [a cura di Carlo Silvano, carlo.silvano@poste.it]

lunedì 2 marzo 2009

OTTO LOGGE DI MURATORI NELLA MARCA DEI MASSONI

di Lieta Zanatta

Nel trevigiano 200 affiliati, soprattutto liberi professionisti: avvocati e medici.
I loro nomi depositati in Questura, come vuole la legge Spadolini,
ma quasi nessuno esce allo scoperto. Per la prima volta un ritratto completo




Napoleone Buonaparte, George Washington, Nietzsche, Beethoven, Mozart, Voltaire, Vittorio Alfieri, Giosuè Carducci, Garibaldi e Mazzini, Francesco Crispi, Henry Ford, Totò, Salvador Allende. Tutti con un particolare in comune. Quale? Erano massoni. Come i quasi quarantamila oggi esistenti in Italia e i quasi duecento nella sola provincia di Treviso, appartenenti a ben otto Logge.
Una curiosità venuta alla luce con la pubblicazione “Quale Primavera per i Figli della Vedova? Treviso vista e vissuta dai massoni di una loggia del Grande Oriente d'Italia” (ed. Ogm) di Carlo Silvano, sociologo napoletano da dieci anni trapiantato nel trevigiano. «Il lavoro che ho svolto - spiega il sociologo - è consistito nel capire gli stili di vita dei massoni, i loro valori, come vivono inseriti nella società trevigiana, cosa pensano di temi come il testamento biologico, il mobbing, la famiglia e l'aborto, la costruzione di moschee nel territorio, i rapporti con la magistratura».


Silvano ha sentito diversi massoni ma nel libro ha riportato le sole interviste a tre maestri venerabili, succedutisi nella Loggia “Primavera”, di cui uno, il notaio Paolo Palvo, è nota l'identità per sua espressa volontà. «Gli altri due hanno preferito restare nell'anonimato: secondo loro la scarsa conoscenza sulla materia Massoneria e i problemi scaturiti dalla Loggia deviata P2, potrebbero esporre i familiari a pregiudizi di sorta». Delle otto logge presenti nel trevigiano, due, “Paolo Sarpi” e “Primavera” appartengono al “Grande Oriente d'Italia”, con tempio per i rituali a Silea, 70 fratelli e nessuna donna ammessa. Cinque logge dipendono dalla “Gran Loggia d'Italia”, con un centinaio di affiliati tra cui alcune donne che si incontrano nel tempio di Castagnole. L'ottava loggia “Keystone”, dipende dalla “Obbedienza Gran Loggia Regolare d'Italia”, 18 fratelli aderenti che si ritrovano a Roncade. Una netta prevalenza di liberi professionisti, soprattutto avvocati e medici, ma anche impiegati e operai, come un lavoratore, laureato, della Costa d'Avorio.
«GLI INTERVISTATI – riprende Silvano - affermano che il motivo per cui sono entrati in una Loggia è perché essa è una scuola di vita, si ispira a valori come la libertà di pensiero, l'uguaglianza e la solidarietà tra gli uomini. Confrontano le loro visioni ed esperienze “laicamente”, dicono senza influenze religiose e politiche». Una ricerca non semplice vista l'abitudine al silenzio. I “Figli della Vedova” sono molto riservati, non è detto si conoscano fra logge diverse, e le liste degli aderenti sono depositate in Questura, visto che la “legge Spadolini” scritta dopo il caso P2 nel 1982, vieta le associazioni segrete, in contrasto con l'articolo 18 della Costituzione Italiana. «Alcuni, come Dario Paoletti (della Gran Loggia d'Italia), non hanno problemi ad intervenire pubblicamente per far conoscere il loro pensiero. Devono essere loro a farsi conoscere meglio partecipando e intervenendo ai dibattiti pubblici, utilizzando anche i media locali per esprimere la propria opinione sui problemi contingenti della comunità, e firmandosi come massoni».
[“Il Treviso”, 2 marzo 2009, pag. 23]

venerdì 27 febbraio 2009

Non siamo un'associazione segreta. Un massone si racconta


Da Daniele Quarello - giornalista che scrive per la "Tribuna" di Treviso - ricevo l'articolo che segue. Quarello, in occasione della presentazione del libro, ha intervistato Dario Paoletti.

TREVISO. Eliminare quel velo di mistero e di segretezza con cui la massoneria è sempre stata avvolta. Questo lo scopo dell’incontro tenutosi giovedì 19 febbraio alle 18,30 nella sala “Pacifico Guidolin” della Biblioteca Comunale di Castelfranco Veneto in occasione della presentazione dell’ultimo libro di Carlo Silvano, intitolato "Quale primavera per i figli della Vedova? Treviso vista e vissuta dai massoni di una loggia del Grande Oriente d'Italia”. Un volume uscito lo scorso dicembre che raccoglie alcune interviste fatte ai maestri, che si sono succeduti alla guida della loggia “Primavera” di Treviso affiliata al Grande Oriente d'Italia, tra cui il notaio Paolo Valvo. Un volume in cui i massoni parlano della loro associazione, ma anche di temi di scottante attualità (immigrazione, prostituzione, aborto, mobbing etc.). Di notevole interesse, poi, il tentativo da parte dell’autore, Carlo Silvano, di svelare al mondo quest'organizzazione.


A sx Dario Paoletti (loggia "dei Trecento" affiliata alla Gran Loggia d'Italia), a dx Carlo Silvano

In occasione della presentazione del libro è intervenuto anche Dario Paoletti, massone della loggia “Dei Trecento”, affiliata alla Gran Loggia d’Italia. «Sono qui a parlare a titolo personale - ha detto Paoletti - per chiarire alcuni aspetti riguardanti la massoneria. La mia presenza qui dimostra che non siamo nascosti. La nostra non è un’associazione segreta. Le associazioni segrete sono illegali in Italia. I nomi degli associati sono depositati. Quello che ci contraddistingue è il fatto di agire nella riservatezza, ovvero di condurre le nostre attività in maniera riservata. Attività rivolte prevalentemente alla beneficenza, che non hanno nulla a che fare con la segretezza o con il complotto. Queste cose sono stati i giornalisti a volerle vedere per creare degli scandali. La massoneria non ha nessun segreto». E Paoletti si spinge anche oltre. «Il caso della loggia P2 - aggiunge - è stato un bluff giornalistico. Era una questione tutta interna alla massoneria. Quella loggia era stata creata per dare supporto a tutti i fratelli che per motivi di lavoro vivevano a Roma. Licio Gelli, però, sbagliò facendo entrare nella loggia non come di consueto 30/40 persone, ma più di mille. Una mossa per la quale deve considerarsi deviato, ovvero fuori dalla massoneria. Ma come la commissione d’inchiesta guidata da Tina Anselmi ha giustamente concluso non c’era da parte di questa loggia alcuna intenzione di sovvertire l’ordine dello stato». Nessun complotto quindi. Solamente filantropia e beneficenza. «Ogni massone - dice Paoletti - intraprende un percorso iniziatico che culmina con l’illuminazione. Dal momento che questo è un percorso interiore, non può essere codificato né comunicato. Questo è il nostro unico segreto, un’esperienza non comunicabile. La massoneria non è una filosofia né una religione. Non esiste in linea di principio una inconciliabilità tra cristianesimo e massoneria. Noi massoni crediamo nell’esistenza di un unico Dio creatore, che chiamiamo il “Grande Architetto”, e nei valori di libertà, uguaglianza e fratellanza». (Daniele Quarello)

venerdì 20 febbraio 2009

considerazioni sull'incontro di Castelfranco Veneto

Da un massone della loggia "Primavera" di Treviso, che ha assistito alla presentazione del mio libro svoltasi a Castelfranco Veneto, ho ricevuto il messaggio che "incollo" in questo post.
[...] condivido gran parte di quanto ha detto il fratello Dario Paoletti, soprattutto sulla parte attinente i valori. Sulla questione della P2 è stato, a mio avviso, abbastanza ondivago. Dapprima ha cercato di giustificare semplicisticamente il fenomeno, per poi lavarsene le mani dicendo che tutto questo riguardava il G.O.I: in realtà la deviazione della P2 è stata un fenomeno da non sottovalutare, che deve pesare sulla comunità massonica da un punto di vista morale. Dobbiamo sentirci responsabili, noi del G.O.I., per quanto accadde, anche se, sul piano penale, come ben sai e com'è giusto che sia, le colpe vengono ascritte alle persone che hanno commesso un reato. Penso però che la vicenda della P2 vada archiviata e consegnata alla Storia, così come sono stati archiviati e storicizzati i tempi bui della sacra Inquisizione. Pur non dimenticando gli errori del passato, che devono essere un monito, è ora di guardare avanti.

Intervento del prof. Armando Fiscon


Alla presentazione del libro "Quale primavera per i figli della vedova? Treviso vista e vissuta dai massoni di una loggia del Grande Oriente d'Italia", svoltasi il 19 febbraio a Castelfranco Veneto, dopo il saluto del sindaco, Maria Teresa Gomierato, è intervenuto il prof. Armando Fiscon. Qui di seguito pubblico il suo intervento.

Non è mio compito entrare nel merito del tema che ci è proposto dal libro di Carlo Silvano, anche se, per la verità, l’ho letto con molta curiosità, forse anche per fare dentro di me un po’ di chiarezza e togliere degli interrogativi su un argomento nel quale ero (e sono) piuttosto prevenuto, come credo stia succedendo a tanti altri: prevenuto perché il termine stesso di Massoneria ha significato da sempre per me in qualche modo incompatibilità con la militanza cattolica. È stato sinonimo di settarismo settarismo, complotto segreto, avversione e insofferenza alle norme della vita sociale. E credo non sia facile sradicare determinate idee che abbiamo coltivato per tanto tempo. Tanto più che a questo riguardo ho letto anche di recente opinioni davvero sconcertanti di forte opposizione alla ideologia massonica, né credo che la dottrina della Chiesa Cattolica abbia cambiato di molto la propria posizione nei confronti della Massoneria. Trovo perciò veramente interessante questa ricerca che l’autore ci presenta qui oggi attraverso le opinioni dei diretti responsabili e sono curioso di seguire lo svolgimento del dibattito che sicuramente toccherà fra l’altro punti nevralgici sulla possibilità di coesistenza pacifica fra le due ideologie all’apparenza così opposte.
Dirò, invece, due parole sull’autore del libro.
Conosco il dottor Carlo Silvano da parecchi anni e ho avuto il piacere di pubblicare con la mia Editrice quattro suoi volumi.




Armando Fiscon (a sx) e Carlo Silvano (a dx)



Ho sempre apprezzato in Silvano il suo metodo di lavoro che è quello di non sviluppare un argomento sotto forma di trattato in esposizione sistematica, quanto quello di approfondire il problema attraverso le esperienze dirette dei protagonisti intervistati, che diventano loro stessi gli autori. Per cui l’argomento non è mai un dictat di principi, di definizioni, di intenti; ma è calato nelle realtà dei singoli individui. È il metodo delle interviste mirate che, sapientemente gestite con domande dettagliate, e a volte provocatorie, ai diretti interessati (e qui è molto importante anche la scelta dei personaggi da intervistare), dà alla fine un quadro dell’argomento che non è mai teorico ma pratico, chiaro, sperimentato, vissuto in prima persona. A mio parere, qui sta la validità del metodo che Carlo Silvano ha scelto finora per le sue pubblicazioni.
Si può aggiungere che anche su altri argomenti – tutti molto attuali, come Autorità e responsabilità nella Chiesa Cattolica, Cristianesimo Chiesa e Teologia, Rapporto tra Cristiani e Musulmani, Problematiche del mobbing, Silvano usa sempre lo stesso metodo dell’intervista; e sempre, alla fine del libro, si comprende come in qualsiasi problema sociale o religioso c’è una grande quantità e, direi, ricchezza di variabili dovute ai valori individuali, alla sensibilità, alla preparazione, alla dedizione, all’intraprendenza delle singole persone intervistate. E si possono scoprire anche elementi molto diversi da quelli che la tradizione, il comune sentire, le prevenzioni ci hanno inculcato; cosicché un argomento per quanto delicato e controverso può portare a conclusioni anche imprevedibili, come credo sia il caso di questo libro nel quale – attraverso le domande che Carlo Silvano fa a personaggi di spicco della Massoneria (domande anche in questo caso non relative a regolamenti o principi, bensì a temi specifici quali il rapporto con la Chiesa cattolica, i fenomeni dell’emigrazione, del lavoro, della prostituzione, dell’aborto), si riesce ad avere un quadro ben diverso ed effettivamente poco conosciuto anche della “Primavera per i figli della Vedova”, così Silvano ha intitolato il libro; in quanto nel marzo del 2001 si svolse a Treviso una riunione nella quale un gruppo di Massoni trevigiani palesarono al Grande Oriente d’Italia la volontà di istituire una nuova officina a Treviso; e nel successivo giugno con apposito decreto il Grande Oriente d’Italia emise la bolla di fondazione della loggia “Primavera”, sancendone formalmente la nascita.


Armando Fiscon (Edizioni del noce - Camposampiero)

domenica 15 febbraio 2009

Rispondendo ad un mio messaggio, il vescovo e carmelitano Filippo Iannone (ausiliare all'arcidiocesi di Napoli e docente di diritto canonico), mi scrive:
1. E' ancora valida la Dichiarazione del 26.11.1983?
La dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede del 26 nov. 1983 conserva integro il suo valore, pertanto le sette massoniche sono da comprendersi tra le associazioni di cui al can. 1374 del vigente Codice di diritto canonico.
2. Un cattolico può iscriversi e frequentare una loggia massonica?
L'attuale canone stabilisce una duplice distinta pena:
A. Pena precettiva indeterminata per chi s’iscrive "scienter et volens" a una delle associazioni che tramino contro la Chiesa: "iusta poena puniatur". Se qualcuno si fosse iscritto in buona fede, ha l'obbligo di ritirare la propria iscrizione, non appena viene a conoscenza della vera natura della società, tranne che sia costretto a rimanervi temporaneamente, per evitare possibili gravi danni.
B. Pena precettiva determinata per chi svolge nella società un ruolo attivo o una funzione direttiva: "Interdicto puniatur".
3. Su quali basi si fonda l'inconciliabilità tra l'essere cattolico con la frequenza ad una loggia massonica?
Si noti per altro che il canone parla di associazioni "quae contra Ecelesiam machinantur". Non basta pertanto che esse siano condannate dalla Santa Sede o da altra autorità ecclesiastica. È necessario che cospirino realmente contro la Chiesa, sia perché questo rientri nei loro fini, sia perché sia stato così deciso dagli organi direttivi, sia infine perché avvenga semplicemente di fatto. La condanna può avvenire anche per altri motivi. Trattandosi di associazioni a carattere eretico, scismatico o apostatico, si ha un effettivo concorso di reati, in quanto si viola non solo il can. 1374, ma anche il can. 1364. (La prima condanna formale delle sette massoniche risale alla Lettera Apostolica "In eminenti" di Clemente XII del 28 aprile 1784).
Sperando di aver in qualche modo dato risposta ai suoi quesiti, La saluto cordialmente in attesa di incontrarLa personalmente + Filippo Iannone, o.c.

Cattolicesimo e massoneria: le ragioni di una perdurante inconciliabilità

Dal cattolico tradizionalista Maurizio Ruggiero ricevo lo scritto che segue:

Fra gli oltre cinquecento documenti di condanna che la massoneria ha rimediato da Santa Madre Chiesa, tiene un luogo speciale l’enciclica Inimica vis (8 dicembre 1892) del Papa Leone XIII. Ripercorrendo le pagine di quel testo e dell’altra grande enciclica, Humanum genus (20 aprile 1884) ravvisiamo tutte le ragioni che indussero la Chiesa a condannare i figli della vedova e a ribadire, fino ad anni recenti (cfr. la Dichiarazione della Congregazione per la dottrina della fede del 26 novembre 1983) l’inconciliabilità fra cattolicesimo e massoneria. Per ragioni di brevità mi limiterò a due sole considerazioni.

1a ragione - La Massoneria è relativista: professa cioè il dubbio in modo sistematico. Non come chi si ponga un quesito su ciò che sia la verità, al fine di conoscerla e di conformarsi ad essa; ma con l’atteggiamento dubitativo proprio dello scettico, di colui cioè che non crede che una verità e men che meno che la verità, esista. O che, se anche esista, essa resti comunque inconoscibile e inattingibile da parte dell’uomo. Questo naturalismo e relativismo massonico comporta conseguenze gravissime non solo sul piano della teologia razionale, come la chiamava San Tommaso d’Aquino, giacché (non solo la rivelazione) ma anche la conoscibilità di Dio con la semplice ragione viene negata; ma ha riflessi anche nell’ordine civile e morale.
Dio è l’Autore della Verità e Verità egli stesso: tanto di quella naturale che di quella soprannaturale, le quali verità non possono dunque mai essere in contrasto. Orbene il relativismo nega l’esistenza o la conoscibilità della verità. E, se non vi è una verità, non vi è nessuna vera religione; tutte le fedi, satanismo incluso, restano su un piano di parità; peggio ancora, non vi è nessuna verità naturale; nessun dovere ha l’uomo, né come singolo, né come società, verso Dio suo creatore: onde il laicismo dello Stato (che altro non è che un ateismo in forma più larvata) e il rinnegamento della Divinità di Gesù Cristo, della sua regalità sociale, dei diritti della Chiesa nelle materie miste fra Chiesa e Stato (matrimonio, istruzione, sfera morale ecc.). Anche le verità naturali vengono smantellate: via libera al divorzio, che rompe il legame valido e naturalmente inscindibile fra uomo e donna, indissolubile in forza del contratto, non già del Sacramento; via alle nozze fra coniugi d’identico sesso; via alle adozioni di bambini agli omosessuali; contro la difesa della vita nascente o morente (aborto, eutanasia); via alla clonazione e alla sperimentazione sugli embrioni umani e altro ancora. Si può immaginare nulla di più radicalmente anticattolico e antinaturale?
Vero è che in questi ultimi cinquant’anni si è dovuta registrare una tragica convergenza ecclesiale verso il relativismo religioso di segno massonico, soprattutto a partire da quell’evento, nefasto e autodistruttivo per la Chiesa e per le anime, che fu il concilio vaticano II, con le sue dichiarazioni pro ebrei e pro Islam (Nostra Aetate) e pro pubblica professione di ogni culto (Dignitatis humanae) vero o erroneo che fosse, cosa che ha spianato la strada, fra l’altro, all’islamizzazione delle nostre terre e alle moschee. Vero è che eminenti studiosi cattolici, già avversari della massoneria, per tutti i religiosi Esposito e Caprile, si sono trasformati dopo il concilio (avendone capito l’antifona!) in antesignani dell’abbraccio fra nuova religione conciliare e massoneria. Ma, nondimeno, quella triste stagione conciliare sembra oggi lentamente tramontare e, sempre più spesso, viene riproposta l’autentica e tradizionale dottrina cattolica che postula il principio che la libertà appartiene solo alla verità e non all’errore; che vera e falsa religione non possono essere poste sullo stesso piano, tanto più con riferimento al culto pubblico; che fedi come quella islamica sono pericolose, oltre che per le anime (conducendo, come tutte le false religioni, alla dannazione eterna) anche per l’ordine pubblico e per il mantenimento dell’identità stessa delle nostre terre.

2a ragione - In tutta la sua storia la Massoneria ha sempre cospirato contro i tradizionali Stati Cattolici: dalla guerra spietata alla monarchia di Francia, culminata nel doppio regicidio di Luigi XVI e di Luigi XVII, il Re fanciullo fatto perire in prigionia a soli dieci anni d’età nel 1795; dalla ghigliottina del Terrore rivoluzionario al genocidio del popolo vandeano, cattolico e schierato col suo legittimo Sovrano; alle baionette napoleoniche, fino agli eccessi anticlericali del cosiddetto risorgimento italiano, che fece tabula rasa con la violenza dei legittimi Prìncipi che governavano la Penisola, fino all’occupazione a tradimento del Regno del Sud, alla feroce guerra civile ivi scatenata contro le popolazioni rurali borboniche, costrette a divenire o briganti o emigranti, con l’esodo biblico nelle Americhe dei nostri connazionali
L’influsso mefitico della setta massonica nella storia d’Italia e d’Europa si spinge fino ai nostri giorni, in quegl’inutili, quando non dannosi, cassoni terzomondisti che sono i vari Onu (con il suo antenato rappresentato dalla Società delle Nazioni) e altri organismi internazionali, per non dire dell’eurocrazia socialista di Bruxelles, paladina delle nozze omofile, dell’egualitarismo, dell’antirazzismo strumentale per legittimare la cosiddetta “cultura” rom, della misura dei pomodori e così via.
Perché mai la Chiesa e i cattolici dovrebbero appoggiare o intrattenere rapporti di collaborazione con chi ha distrutto la Cristianità, come famiglia di Stati Cattolici, qual era fino al 1789 in Europa e nel mondo, sta portando avanti l’aggressione sistematica contro la Chiesa e ha progetti in tutto opposti e confliggenti con quelli degli autentici cattolici? Non si deve dimenticare infatti, come insegna il Magistero della Chiesa, che dalla forma data a una società o ad uno Stato, consona o no ai princìpi cristiani, può dipendere la salvezza delle anime. In una parola, era perfettamente logico che le anime si salvassero più facilmentee sotto il paterno governo della Serenissima (distrutta da Napoleone, dai massoni e dall’imbelle contegno di certi governanti veneziani) o dell’Imperial-Regio Governo d’Austria, che non sotto l’anticlericalismo militante e morboso, diffusore di ogni germe d’immoralità, del risorgimento o di questa stessa repubblica democratica, che pochi giorni fa, in forza del decreto di un tribunale e grazie alla complicità di medici e politicastri dello schieramento anticattolico, ha consegnato alla morte una giovane disabile in quel di Udine.

Ecco dunque il perché di tante condanne inflitte dalla Chiesa ai massoni e il loro perdurante valore. Giacché sono in gioco questioni che afferiscono alla salveza delle anime, essendo questa, la legge suprema della Chiesa (“lex suprema Ecclesiae, salus animarum”). Naturalmente l’augurio e la preghiera che, come cattolici, dobbiamo e vogliamo rivolgere è quello alla conversione, nostra e di tutti, ma dei massoni in particolare. Ora, finché ancora hanno tempo, giacché verrà il giorno in cui dovranno comparire al Supremo Tribunale di Dio per esservi giudicati. Ed “è terribile cadere nelle mani del Dio vivente” (Eb. 10, 31). Perso Dio, infatti, perso tutto. “Che giova infatti all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde l’anima sua?” (Lc. 9, 25).

Maurizio-G. Ruggiero


Verona, 11 febbraio 2009

venerdì 6 febbraio 2009

Don Canuto Toso e la moschea a Treviso

In un precedente post ho riportato il pensiero dell'attuale maestro venerabile della loggia "Primavera", in merito alla richiesta dei musulmani di poter istituire una moschea a Treviso. Don Canuto Toso, sacerdote della diocesi di Treviso e conoscitore dei flussi migratori, dopo aver letto quanto affermato dal maestro massone, mi ha scritto quanto segue:
...Ho appena letto un riferimento in merito, fatto dal Segretario della Conferenza Episcopale Italiana, mons. Mariano Crociata, in una conferenza stampa, alla conclusione del Consiglio Permanente. "La libertà religiosa è tra i diritti fondamentali da assicurare a tutti, quindi anche agli immigrati che sono risiedono in Italia... Il diritto di poter professare il proprio culto, nel rispetto delle forme previste dal nostro ordinamento democratico e costituzionale... Tuttavia che gli interventi richiesti e acquisiti siano proporzionati alle esigenze quantitative e qualitative riscontrate dalla comunità dei richiedenti".
Riguardo allo specifico di Treviso mi sembra che i richiedenti siano stati pressoché ostacolati nel reperirere un locale, sia pur provvisorio, per pregare e concludere il Ramadan... Sta in questo la mancanza di rispetto della suddetta libertà religiosa. Mancanza sembra motivata dal timore di un presunto utilizzo ideologico-politico degli incontri. Conoscendo i dirigenti dell'Associazione Culturale islamica che ha sede a Treviso, ritengo sia al fine importante dialogare con loro evitando le esclusioni aprioristicamente intolleranti. Dando legittima facoltà di usare una struttura, o di costruirla, al fine di culto si ha modo di educarli ad una integrazione che contribuisca:
1. ad una convivenza pacifica fra le differenti e rispettive culture religiose presenti nella Marca trevigiana mediante l'immigrazione;
2. e quindi ad una reciprocità, cioè perché facciano altrettanto nei loro Stati di provenienza (Paesi magrebini, Egitto, ecc.) nei confronti dei cristiani quivi residenti, cui purtroppo non è concesso di esercitare il loro culto e tanto meno di diventare cristiani...
Questo, in sintesi, il mio pensiero.
don Canuto Toso
Treviso, 6 febbraio 2009

giovedì 5 febbraio 2009

LIBRO: I MASSONI A TREVISO



Giovedì 19 febbraio 2009 - alle ore 17.45
presso la sala della Biblioteca comunale
"Pacifico Guidolin"
di Castelfranco Veneto in vicolo dell'Abaco
si svolgerà la presentazione del volume:

Quale primavera
per i figli della Vedova?

Treviso vista e vissuta dai massoni
di una loggia del Grande Oriente d'Italia

di Carlo Silvano

Interventi:

prof.ssa Maria Teresa Gomierato
(sindaco di Castelfranco Veneto)

prof. Armando Fiscon
(editore)

dott. Dario Paoletti
(Gran Loggia d'Italia)

sarà presente l'Autore

A Castelfranco Veneto è possibile reperire il volume presso la
libreria Costeniero in piazza Giorgione 55. Tel. 0423 720027.
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Carlo SILVANO, "Quale primavera per i figli della Vedova. Treviso vista e vissuta dai massoni di una loggia del Grande Oriente d'Italia", postfazione di Giovanni Formicola, Ogm editore, dicembre 2008, pp. 104, euro 10, isbn 978 88 95500 04 1. Il volume è distribuito dalla Tredieci di Villorba (tel. 0422 440031).